I proverbi, come sappiamo, ci raccontano, in maniera molto semplice, molte verità.
Le vicende relative ad alcune banche di questi ultimi giorni, a modo loro, ci dicono che “non tutti i mali vengono per nuocere”. Questa, in estrema sintesi, guardando ancora una volta al “bicchiere mezzo pieno”, la lezione che potremmo “portare a casa”.
La caduta prima della Silicon Valley Bank, seguita a ruota dalla Signature Bank e, a poca distanza, dalla First Republic Bank, dall’altra parte dell’oceano, e, dietro l’angolo (per noi europei), dal Credit Suisse, Istituto di dimensioni ben più grandi rispetto agli altri, sono eventi idiosincratici, cioè che riguardano un singolo istituto ovvero un numero ristretto di banche, con caratteristiche simili, come giustamente ci dice un articolo apparso su La Repubblica di oggi. Nel caso americano una gestione molto leggera da un punto di vista finanziario, con le somme depositate dai clienti impiegate in attività finanziarie a lungo termine, alla ricerca del miglior rendimento (treasury bond), nell’altro un approccio al business molto speculativo, poco controllato, quasi arrogante e poco rispettoso dei propri clienti da parte di quella che era la più importante banca svizzera. Nulla, quindi, di sistemico, come successo nel 2008 con la crisi dei mutui sub-prime, che erano stati erogati senza assumere adeguate garanzie e che tantissimi clienti non erano più in grado di rimborsare. La “trasmissione” del problema non è pertanto possibile, in considerazione, appunto, del fatto che riguarda realtà bancarie o con business molto “concentrati” (settore tech e start up), anomalia accompagnata da una non scrupolosa attività di “accantonamenti finanziari” ovvero di un istituto sì di dimensioni “sistemiche”, ma comunque ben patrimonializzato e con capitali sufficienti ad affrontare momenti di difficoltà legati, come detto, a voler perseguire a tutti i costi attività che si possono definire speculative, quasi l’antitesi di quanto dovrebbe fare una banca.
L’insegnamento che se ne può trarre (cosa che le FED e BCE, deputate, tra le altre cose, al controllo delle Banche e della loro attività, sembrano aver capito al volo) è che non può venir meno un presidio continuo e rigoroso del sistema bancario. Il problema maggiore, peraltro, ce l’ha l’autorità americana, che si trova a dover fare i conti con regole non così stringenti e, ancor di più, a controlli lacunosi, per non dire estemporanei.
Ben diversa, come noto, la situazione in Europa. Lo shock del 2008/2009, con una recessione che ha portato ad oltre 50ML di nuovi disoccupati in giro per il mondo, molte banche fallite, aziende costrette alla chiusura, che ha portato le banche centrali a prendere provvedimenti di assoluta straordinarietà (quelli che, a ben vedere, hanno portato, o per lo meno, contribuito, ad avere un’inflazione a doppia cifra) è ancora troppo recente per non essere ricordato e portato ad esempio.
La vicenda del Credit Suisse, per quanto non assoggettato alla giurisdizione BCE, ha dato modo alla Banca Centrale Europeo di ribadire come il sistema bancario europeo sia sano e ben patrimonializzato, nonostante il verticale aumento dei tassi che hanno depresso le quotazioni dei titoli obbligazionari posseduti in maniera cospicua. Appena scattata l’emergenza, la BCE ha immediatamente avviato delle verifiche per capire il grado di coinvolgimento, nei singoli Paesi, delle Banche costantemente monitorate: ne è emerso che non vi sono situazioni di “crisi” dovute alla concentrazione del business tra un dato istituto e la banca elvetica. Dall’altra parte, l’autorità elvetica è entrata subito in azione, garantendo linee di credito di fatto illimitate all’istituto di Zurigo (che ha richiesto l’utilizzo di 50MD, non per far fronte alle richieste di prelevamento della clientela, ma per ulteriormente “puntellare” il proprio patrimonio).
In questo contesto, ieri la Banca Centrale Europea era chiamata a “dire la sua” sui tassi.
In molti pensavano che quanto si è verificato in questi giorni potesse condizionare non poco le scelte, magari spingendo l’autorità monetaria ad un atteggiamento più cauto. Una nuova difficoltà per la Lagarde sulla strada della lotta al contenimento dei prezzi.
Invece la BCE ha mantenuto la “barra” dritta. Scelta che sembra essere stata molto apprezzata da analisti e dai mercati. Il rischio avrebbe potuto essere, in caso di una “accondiscendenza” che avesse portato ad un’azione meno incisiva, che dietro la decisione di una minor aggressività si nascondessero problemi ben più seri del sistema bancario. Aver invece confermato l’ennesimo rialzo di 0,50% (il terzo di fila), con i tassi che hanno raggiunto il 3.50% equivale a ribadire che non c’è nulla da temere (per le banche). Contestualmente, però, non è stata detta una parola in merito ad eventuali nuovi provvedimenti (la prossima riunione è fissata per i primi di maggio): cosa che è stata letta come una conferma che d’ora in avanti il Banchiere centrali si muoverà con ancora maggior attenzione per evitare che la recessione possa minare la crescita.
Dall’altra parte dell’oceano, invece, il sistema bancario, sotto la spinta della FED, è intervenuto per assicurare alla First Republic Bank la liquidità necessaria per il regolare svolgimento della propria attività (oltre al fatto che, sempre la stessa FED, ha iniziato una serie di verifiche per porre rimedio alla falla sui controlli e rivedere le normative che devono garantire la solidità sistemica). Quattro tra i maggiori istituti americani (JP Morgan, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo) hanno assicurato $ 20 MD, con un apporto da $ 5MD cadauno, mentre un gruppo più allargato di altre banche contribuirà con altri $ 10MD. Da parte sua, la FED ha assicurato una nuova linea di credito (Bank Term Funding Program), in grado di fornire liquidità sino a $ 2.000 MD.
L’insieme di questi fattori ha permesso ai mercati di respirare, con le quotazioni in ripresa ovunque: l’Europa ha reagito con un rialzo medio dell’1,19% (Eurostoxx 600), mentre a Wall Street il Nasdaq è rimbalzato del 2,69% e il Dow Jones dell’1,17%.
Questa mattina mercati asiatici in scia: Nikkei + 1,20%, Shanghai + 0,73%, Hong Kong + 1,82%.
Bene anche Seul, con il Kospi che cresce dello 0,7%.
Futures piuttosto positivi in America, con rialzi intorno allo 0,30/0,40%.
Negativo, al momento, invece l’Eurostoxx.
Fatica a riprendersi il petrolio, con il WTI “arroccato” intorno ai $ 69 (+ 0,66%).
Gas naturale Usa a $ 2,614, in leggero calo questa mattina (– 0,16%).
Oro a $ 1.936, + 0,66%.
Spread a 188 bp, con il rendimento del BTP che torna a crescere (4,19%).
Bund tedesco al 2,28% (+ 16 bp).
Treasury Usa a 3,56% (+ 8 bp).
Quotazione €/$ in area 1,0665.
Torna a salire il Bitcoin: questa mattina supera di slancio i $ 26.000 (26.116, + 4,23%).
Ps: toccare le pensioni è un mestiere pericoloso. Lo sta imparando anche il Presidente francese Macron, che sta cercando di modificare la normativa attuale, che fissa a 62 anni l’età pensionabile. La riforma che sta cercando di portare a termine prevede l’innalzamento a 64 anni, a partire dal 2027, con 43 anni di contributi (fermo restando i 67 anni come età senza subire la decurtazione per i contributi mancanti). Per raggiungere l’obiettivo, però, ha preso una strada che può rivelarsi pericolosa: fare appello all’art. 49.3 della Costituzione, che prevede che si possa porre la fiducia facendo passare il testo definitivo al Parlamento senza passare dalle forche caudine del voto.